Introduzione
La logistica di ritorno prevede una prima distinzione tra la gestione dei prodotti veri e propri e la gestione degli imballaggi.
Di norma (ma esistono numerose eccezioni in campo non consumer e anche nel campo del consumo di massa) l’imballo ha un valore significativamente inferiore a quello del bene che conteneva e, di conseguenza, si dovranno affrontare problematiche diverse, con la conseguenza che anche le attività di reverse logistics si differenzieranno.
Più in generale, la realizzazione di un’efficace logistica di ritorno si dovrà basare sulla definizione di una supply chain inversa che terrà conto dei vari punti di origine e delle differenti tipologie di oggetti che vi dovranno viaggiare attraverso.
Lo scopo di questo articolo è fissare i punti fondamentali della logistica inversa prima di entrare, in successivi articoli, nei dettagli più intimi della materia.
Per focalizzare questi punti cardine si agirà prima con l’identificazione delle attività della logistica inversa e poi sull’analisi delle principali variabili alla base della supply chain inversa.
Naturalmente tutte queste valutazioni dovranno tenere conto delle differenti modalità di gestione degli imballi rispetto a quelle dei prodotti: un dettaglio in tal senso rientra anch’esso negli obiettivi di questo articolo.
Le attività tipiche della reverse logistics
Nel caso del prodotto, le tipiche attività di logistica inversa sono:
- Smaltimento in discariche
- Recupero dei materiali
- Recupero di componenti funzionanti
- Restituzione al fornitore
- Riciclo
- Ricondizionamento
- Ricostruzione
- Rimessa a nuovo
- Rivendita presso canali scontati (outlet)
- Rivendita presso i canali normali
Per gli imballaggi, invece, si hanno di norma:
- Recupero dei materiali
- Recupero di componenti funzionati
- Riciclo
- Rimessa a nuovo
- Riutilizzo
Ovviamente, nel caso in cui l’imballaggio possa essere di valore non trascurabile, esso potrà essere considerato alla stregua del prodotto e quindi essere gestito con le già citate attività. Di conseguenza tale caso non verrà dettagliato essendo, di fatto, già compreso nel caso del prodotto.
In sintesi, in entrambi i casi, si cercherà prima di “riparare” l’oggetto per poi rivenderlo come “ricondizionato” oppure, nel caso in cui ciò non fosse possibile, si agirà in modo da recuperare più valore possibile dai materiali che lo compongono, ossia di smaltirlo con il minor costo possibile.
Ovviamente, nel caso degli imballaggi, il riuso sarà molto più semplice se essi sono stati progettati per essere riutilizzati (si pensi, ad esempio, a pallet o a container). In tali contesti, pur essendo l’imballo “non nuovo”, nessuno solleverà obiezioni sul suo utilizzo.
Nel caso di imballi pensati come monouso (ad esempio il packaging di una macchina fotografica digitale ultimo modello) è invece evidente che non si potrà pensare di riproporre lo stesso imballo ad un altro cliente.
Nel caso di package multiuso è pensabile un loro ricondizionamento o una loro riparazione per riutilizzarli di nuovo (si pensi, ad esempio, ad un danno non grave subito da un container o ad un pallet con un asse danneggiato: una semplice manutenzione può ricondurlo rapidamente in condizioni da poter essere utilizzato).
La supply chain inversa
Tutte le attività suddette fanno parte della logistica inversa ma tutte presuppongono l’esistenza di un flusso di beni che proceda al contrario: la supply chain inversa.
Grazie a tale supply chain inversa è possibile spostare l’oggetto dal punto di resa, ossia dal punto in cui ha inizio il processo di restituzione, fino ai punti in cui esso può subire una delle attività suddette. E’ infatti impensabile che, ad esempio, un negozio di una grande catena di elettrodomestici abbia sul posto un servizio di ricondizionamento degli apparati elettronici malfunzionanti che vende: l’apparato dovrà essere portato in un apposito centro per essere lavorato.
Questa catena inversa (vera spina dorsale su cui opera la logistica di ritorno) deve essere ottimizzata al massimo per ridurre al minimo i tempi e i costi di spostamento degli oggetti.
I costi dovranno essere ridotti per ovvi motivi, mentre i tempi per evitare di avere prodotti che, nel flusso di ritorno, divengano obsoleti (si pensi al caso degli abiti che seguono una moda stagionale) o che causino l’aumento del numero di oggetti circolanti (ad esempio per i pallet riciclabili, se un pallet rientra in quattro giorni al punto d’origine si dovranno avere molti meno pallet che se questo rientro avviene in venti giorni).
Per poterla ottimizzare è però necessario considerare due aspetti molto importanti.
Il primo aspetto è se si tratta di un prodotto o di un imballaggio oppure si stanno trasportando materiali che li compongono: il trasporto di un prodotto o di un imballo richiederà forme, tempi e prestazioni differenti da che si stiano trasportando rottami o materie prime.
Secondo punto importante è valutare il punto d’ingresso del prodotto (per gli imballi è raro che si possa avere un imballo restituito dal cliente, tranne che nei casi di “vuoto a rendere”) nella supply chain inversa: se si tratta di un elemento in arrivo da un utente finale oppure se, invece, deriva da un nodo della rete di distribuzione. Il prodotto che giunge da un utente finale (ossia che ha origine da un reso, a prescindere dal motivo) implica un prodotto che ha subito quasi sempre un qualche uso. In molti casi il prodotto verrà reso perchè non funzionante (e in alcuni di tali casi ci si aspetta che il prodotto sia riparato e riconsegnato, ai sensi della vigente normativa), in altri si tratta di un prodotto riconsegnato per acquistarne uno nuovo (si pensi a “rottamazioni” e resi per rispettare la normativa RAEE), in altri ancora il bene può essere stato riconsegnato addirittura imballato perchè l’utente ha cambiato idea!
Il prodotto che giunge (sempre come origine) da un reso fornitore è un prodotto che può ritornare per questioni di obsolescenza, così come per danneggiamenti durante il trasporto o per altri motivi ma, di norma, è un prodotto che non è stato mai utilizzato dall’utente finale.
Se consideriamo più nel dettaglio i flussi di beni della supply chain inversa aventi come origine i nodi della rete di distribuzione, possiamo distinguere i seguenti casi di ritorno di un prodotto:
- Danneggiamento durante lo spostamento o lo stoccaggio
- Fine stagione
- Fine vita
- Ragioni commerciali
- Riequilibrio dell’inventario
Nel caso di un imballaggio la situazione, sempre per i flussi aventi origine dai nodi della rete di distribuzione, è differente:
- Contenitori riutilizzabili
- Imballaggi multiuso
- Requisiti di smaltimento
Se trattiamo, invece, il secondo caso, ossia la restituzione di prodotti da parte dell’utente finale, si hanno le seguenti possibilità:
- Prodotto difettoso
- Prodotto insoddisfacente
- Prodotto sotto garanzia
- Requisiti legati allo smaltimento
- Richiami
Nel caso, meno frequente nel mondo consumer, di restituzione di imballaggi, si può avere:
- Riciclo
- Riutilizzo
- Vincoli sullo smaltimento
Il conflitto tra costruttore e distributore
La principale questione da risolvere nella supply chain inversa non è tanto legata alla sua ottimizzazione quanto la differente visione che il produttore e il distributore hanno del reso.
Il produttore tenderà a scaricare sempre, ove possibile, sul distributore la responsabilità del reso asserendo che il prodotto è stato trasportato male, stoccato male o utilizzato male.
Di contro, il distributore tenderà a scaricare sul fornitore anche quei casi in cui, per imperizia od altro, il prodotto subisse dei danni durante la movimentazione, lo stoccaggio o l’utilizzo.
Inoltre, anche in quei casi in cui non sembrerebbe che ci fossere questioni di attrito, quali ad esempio il fine stagione, il produttore tenderà sempre a pensare, ad esempio, che il distributore non sia stato in grado di organizzarsi opportunamente e che ciò abbia comportato un eccesso di resi, oppure, sempre ad esempio, che il distributore abbia applicato delle politiche commerciali a vantaggio della concorrenza a discapito, quindi, del costruttore.
Risolta la questione della responsabilità rimane comunque da valutare il valore del bene, prodotto o imballaggio che sia, e da discuterne le modalità di rimborso e restituzione.
Senza entrare in un dettaglio eccessivo per gli scopi di questo articolo, è evidente che questioni fiscali, economiche, finanziarie, strategiche, organizzative e chi più ne ha più ne metta possono facilmente portare ad un vero e proprio conflitto sui resi che rischia di danneggiare sia il costruttore e sia il distributore.
Primo vero punto da affrontare è quindi quello di aprire un dialogo tra i due soggetti per definire le modalità di collaborazione: senza tale accordo è impensabile l’ottimizzazione della catena inversa.
Ovviamente quanto detto sopra deve valere anche per tutti quei nodi che movimentano oggetti nella catena inversa: smaltitori, riciclatori, riparatori ecc.
Conclusioni
Alla base di un’efficace logistica inversa c’è l’ottimizzazione di una supply chain apposita, basata su accordi specifici tra le Parti coinvolte e finalizzata a movimentare i beni dai punti di origine ai punti di trattamento.